Alex Foti on Fri, 24 Aug 2007 16:19:01 +0200 (CEST) |
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<nettime> negri's interview on global tectonics (in Italian) |
America latina L'Impero non abita più lì Barra a sinistra, fra molte novità e molte contraddizioni Per il filosofo italiano Toni Negri, ospite in un seminario a La Paz, l'America latina «è uscita dalla dipendenza dagli Usa», il cui «ciclo è chiuso». Oggi «viviamo in un mondo imperiale in cui la capitale non è Washington-New York-Hollywood ma Brasilia-Bruxelles-Calcutta» Pablo Stefanoni La Paz Toni Negri, uno dei pensatori più polemici della nuova sinistra - è arrivato giorni fa a La Paz per partecipare, da protagonista, al seminario «Pensando el mundo desde Bolivia». Fra un intervento e l'altro, e dovendo fronteggiare gli effetti del soroche (il mal di montagna ai 3600 metri della capitale boliviana), l'autore di Impero, che ha appena compiuto 74 anni, ha discusso a lungo con il vicepresidente della repubblica Alvaro Garcia Linera, lettore attento di tutti i suoi libri e simpatizzante delle sue tesi politiche. Prima di lasciare La Paz per Caracas, dove ha incontrato il presidente venezuelano Hugo Chavez, ha avuto tempo di farsi intervistare per chiarire la sua visione sull'attuale situazione dell'America latina. Lei appoggia i nuovi governi latino-americani, come quelli di Lula, di Chavez, di Kirchner e di Evo Morales. Non crede che ci sia un ritorno al modello nazionalista e desarrollista che nei suoi libri critica in termini radicali? Forse in superficie le cose si potrebbero vedere in questo modo, però sono convinto che ciò che è capitato in America latina è la caduta di un nazionalismo legato a una concezione dello sviluppo nazionale. L'America latina è uscita dalla dipendenza per entrare in una società di inter-dipendenza in cui è obbligata - dall'esterno - a muoversi come continente. Il desarrollismo e l'alleanza di classi che ne era il presupposto, fu la copertura di una situazione di dipendenza e lo sviluppo fu inteso all'interno di questa dipendenza. Oggi, nell'ambito della globalizzazione, è completamente diverso. E' impressionante la politica commerciale sud-sud intrapresa da Lula, con la Cina, l'India, il Sudafrica... Sta trasformando le gerarchie imperiali del mondo. Crede che ci siano due sinistre in America latina? Alvaro Vargas Llosa ha parlato di una «sinistra vegetariana» (Lula, Michelle Bachelet e Tabaré Vazquez) e una «sinistra carnivora» (Evo, Chavez e forse Correa). Io non credo che la storia si ripeta. Sono convinto che il socialismo scientifico e il terzo-mondismo siano arrivati alla fine. Il Venezuela non è Cuba. Cuba è un paese che ammiro per un'infinità di ragioni, fra cui la sua eroica resistenza, però non è un modello. Credo che l'esperienza di Chavez sia estremamente contraddittoria, come l'esperienza di Lula o di Kirchner - una sinistra peronista è una contraddizione in termini. Il problema è capire quale sia la linea che attraversa questa storia e io credo che la prima cosa da notare è una democrazia ogni volta più poderosa e sempre più irreversibile. Non è socialista però può rendere possibile un cambio, per esempio rispetto alle tragiche differenze sociali. La seconda questione centrale è che l'America latina è uscita da una dipendenza dagli Stati uniti che aveva tutte le caratteristiche del colonialismo. Davvero pensa che si stia rompendo la dipendenza dell'America latina dagli Stati uniti? Credo che la politica dei neo-conservatori abbia finito, paradossalmente, per affossare la Dottrina Monroe che sanciva gli Stati uniti come l'unica potenza del continente. Il ciclo statunitense è chiuso. Il fallimento è militare e tutti lo vedono. Ma anche economico e molti cominciano a vederlo. In che senso fallimento economico? Le grandi istituzioni internazionali che dominavano il mercato mondiale sulla base del Consenso di Washington sono finite e lo stesso vale per l'americanismo aggressivo e generalizzato. In ogni modo, è una situazione difficile rispetto alla quale non sono né ottimista né pessimista, Viviamo in un mondo imperiale in cui la capitale dell'impero, per dirla così, non è Washington-New York-Hollywood ma Brasilia-Bruxelles-Calcutta. E non so cosa succederà. Tuttavia sono ancora in molti a credere che l'impero siano gli Stati uniti e che l'imperatore sia George W. Bush. Come li convincerà di quest'idea di un impero senza un centro? Può essere che la maggior parte del mondo la pensi ancora così, però ormai non lo pensa la maggioranza degli statunitensi. E' chiaro che abbiano tuttora possibilità enormi in tutti gli ambiti, però c'è abbastanza consenso sul fatto che ci sarà una egemonia Usa esercitata attraverso un potere soft. Con un regime finanziario e monetario praticamente dominato dalla Cina e controllato dall'Europa non possono più fare qualsiasi cosa vogliano. Il problema è che hanno i loro «amici fessi» in tutti i paesi, con un accesso sproporzionati ai media. L'unico paese della regione in cui direi che ci sia una piccola luce di libertà di stampa e una certa lotta politica nei media è l'Argentina. In Brasile il livello di monopolio è scandaloso. A proposito della libertà di stampa, che pensa della chiusura dei Rctv in Venezuela? Mi sembra sia una specie di accesso di rabbia più che una linea politica. Il gran problema che Chavez deve ancora spiegare è come intenda organizzare una democrazia nella stampa. E' chiaro che oggi la stampa venezuelana non è democratica però quest'obiettivo non si consegue neanche con le nazionalizzazioni o le statizzazioni. Bisogna uscire dall'alternativa semplicistica privato-statale. # distributed via <nettime>: no commercial use without permission # <nettime> is a moderated mailing list for net criticism, # collaborative text filtering and cultural politics of the nets # more info: majordomo@kein.org and "info nettime-l" in the msg body # archive: http://www.nettime.org contact: nettime@kein.org